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13 aprile 2014, il racconto della maratona di Londra
Inserito il 21 aprile 2014 alle 20:26:00 da Redazione Roma83. IT - News dell'Atletica



13 aprile 2014, il racconto della maratona di Londra

Chi corre la maratona non sa cosa sia una maratona se non corre prima quella di Londra.
La maratona, è forse la corsa più ambita tra le discipline dell’atletica leggera, va rispettata e temuta e solo allora riesce a darti quel qualcosa in più che non sai spiegarti. Quella sensazione che, durante il percorso ti fa pensare che sia l’ultima che corri per la fatica che stai facendo, ma poi, appena arrivato non fai in tempo a goderti la soddisfazione per la prestazione, che già pensi alla prossima.
Stavolta sono a Londra, una tra le cinque maratone più belle e famose del mondo. Il gruppo è lo stesso, i soliti temerari maratoneti dell’U.S. Roma 83, però questa volta mancano due protagonisti e la loro assenza si sente.

Il clima è una sorpresa, è infatti una bellissima giornata di sole, un po’ insolito da queste parti.
Appena arrivati lo sguardo va ai tre mega aerostati di colori blu, rosso e verde, che sono poi i colori delle tre zone di partenza.








Siamo tantissimi, che da tre punti di partenza diversi, siamo pronti ad invadere la capitale inglese.
Il prato di Greenwich è scintillante è da qui che partirà la maratona, dal famoso meridiano zero. Consegno la borsa con gli indumenti che riprenderò all’arrivo, controllo il mio cronometro ed entro nella mia griglia di partenza.
Io sono nel la griglia numero 3 di 9 gabbie, insieme all’inseparabile e mitico presidente Roberto Montesi e con Roberto Fabiani, compagno di tante battaglie. Guido Falciani (il Keniano della Roma 83) è nella griglia numero 2 e Manuel Montesi (top Runner) è nella prima gabbia.
Davanti a me tanta gente, dietro tantissima. Alle 10.00 la partenza, ci si abbraccia e via.
Dal primo metro della corsa ho capito che questa sarebbe stata una giornata speciale. Dietro le transenne, ai lati della strada, un muro di persone che urla a squarciagola, che batte le mani, che fischia, che attira l’attenzione gridando e incitando gli atleti al loro passaggio. Centinaia di ragazzini che vogliono il cinque al tuo passaggio. I ristori partono quasi subito. Acqua alle miglia pari ed integratore salino a quelle dispari, senza saltare mai un miglio. I tavoli sono lunghi almeno 100 metri ed almeno 60-70 persone ti passano la bottiglietta già aperta e pronta per essere bevuta. Siamo partiti in più di 40mila, e nonostante la ressa nessuno rimane senza. Ci sono gli addetti che raccolgono le bottiglie gettate a terra e le tolgono dal percorso, ed altri che spazzano la strada dall’acqua versata. Sono organizzati come una macchina da guerra.
Intere famiglie sono ai lati della strada e si divertono a guardare il passaggio degli atleti élite ma anche di noi tapascioni, e non smettono mai di farti sentire il loro supporto. Sulle strade ci sono venditori di hot dog e camioncini del gelato. Le band musicali ci sono ma potrebbero anche non essere lì, tanto il frastuono riesce a coprire la musica. La gente è venuta a vedere uno spettacolo ma non si rende conto che lo spettacolo sono loro.
I chilometri scorrono, anzi le miglia, perché gli anglosassoni ci tengono al loro sistema metrico. Io e il presidente siamo già al quarto miglio, quando ci uniamo con gli altri, siamo un fiume. Vedo davanti a me una moltitudine di gente che corre, chissà quanti saranno quelli dietro, che bello! Vedere una città, una metropoli come Londra libera dal traffico, solo per te che corri è un’emozione fortissima, un punto di vista veramente unico. Sono al decimo miglio, il 16° km, comincio a sentire la stanchezza, sono rimasto solo. Il mio compagno ha preso il largo è più in forma e più determinato di me. Ha passato gli ultimi mesi a preparare al meglio la gara.
Stringo i denti e poco dopo vedo al 20 km il Tower Bridge, lo attraversiamo la gente è tantissima, eccomi sull’altra riva del Tamigi.








Sono alla mezza maratona, la strada è larga, noi occupiamo una carreggiata, l’altra è libera perché ci passeremo tra circa 14 km. Non faccio in tempo a ragionare, che la mia attenzione viene attirata da alcuni mezzi sull’altro lato della strada, la polizia, il camion dei fotografi e della tv, realizzo che di la sta per passare il primo, eccolo è Il keniano Wilson Kipsang, Il primatista mondiale sulla distanza è li accanto a me, in senso contrario, ma ecco il secondo e poi il terzo. Corrono con una falcata elastica e morbida, bella da vedere, pare che volino. Improvvisamente un boato assordante, grida entusiaste, sull’altro lato transita il britannico Mo Farah, campione olimpico a Londra nei 5.000 e nei 10.000, che si cimenta per la prima volta sulla classica distanza della maratona.
La stanchezza si fa ormai sentire, è una fedele compagna, sono al 30° km, so che ora comincia la parte più difficile. Le gambe sono dure, la corsa diventa pesante, non riesco a godere appieno il paesaggio e quella moltitudine di persone che incitano i corridori. Penso alle due precedenti maratone corse a metà febbraio e fine marzo, che con questa fanno tre competizioni in meno di due mesi. Provo a mantenere un’andatura sciolta facendo attenzione all’appoggio del piede, il tendine d’achille fa male e le gambe non girano. Siamo nella city, è pieno di palazzi moderni, altissimi e con architetture in cui il vetro la fa da padrone è una zona piena di uffici. Sono stanco e mi viene voglia di camminare, il pensiero mi condiziona e mi fermo, voglio abbandonare poi mi impongo di riprendere a correre, trovo nuove energie e riparto. I pensieri sono tanti quando la fatica cresce, e io in questo periodo sono logoro per i tanti impegni sostenuti ma provo a rilassarmi e a pensare che dopo questa ci sarà il meritato riposo, per un buon lungo periodo. E’ un peccato che non abbia riservato abbastanza energie per questo fantastico evento, dovevo rinunciare a qualcosa ma purtroppo mi piace correre e terminare tutte le gare a cui partecipo.
Mi trovo ormai al 35° km, il punto in cui ho visto i primi, stavolta sono io che guardo con un certo orgoglio dall’altro lato della strada. Sono ancora in tanti alle mie spalle, 14 km dietro di me, ancora una moltitudine. Non faccio in tempo a rallegrarmi che sento che le gambe iniziano a cedermi e il dolore alla coscia destra che aumenta sensibilmente, ho il timore di non farcela. Cammino per qualche metro e mi fermo di nuovo, alcuni addetti mi vengono vicino e mi chiedono se ho bisogno di aiuto, faccio cenno che va tutto bene ma sono in difficoltà. La gente ai lati della strada sembra capirlo e dice a gran voce “keep going”, “don’t stop now” “go, go, go”e per l’ennesima volta riprendo a correre e dentro di me mi impongo di non fermarmi più.
Sono quasi al 40° km mi sento meglio, intorno a me è una sofferenza. Gente che si ferma, cammina, corridori vittime di crampi che stramazzano al suolo prontamente soccorsi dagli infermieri. Credo che il caldo ed il sole, sicuramente benvenuti per il pubblico, abbiano fatto parecchie vittime tra i runners. Guardo alla mia sinistra, c’è l’immensa sagoma della ruota panoramica più alta d’Europa, il London Eye, so che manca poco. Oramai non guardo più l’orologio i tempi sono saltati devo solo arrivare al traguardo e archiviare anche questa fatica. Sono ai piedi del Big Ben, manca poco più di un chilometro, la gente è tantissima, l’organizzazione perfetta. Vedo Buckingham Palace, e noto le tre ragazze che ci accompagnano (Cinzia, Alessia e Oriana) scattare foto all’impazzata, a duecento metri il traguardo ultimo sprint è finita.
Il cronometro dica quello che vuole e anche se c’è delusione per il tempo mancato, io oggi ho finito la maratona di Londra, una delle corse più belle al mondo.

Fulvio Mattielli





















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